Rinnega te stesso - traccia per incontro 21-10-2012
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- Categoria: Vita di Gruppo
- Domenica, 21 Ottobre 2012 19:02 Data pubblicazione Super User Visite: 2748
Traccia per l'incontro 21 Ottobre 2012 - "Rinnega te stesso" Mt 16,21
Seguaci di Cristo nel matrimonio
(Mt. 16,21) - "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Pochi passi importanti del Vangelo sembrano travisati come queste due semplici righe, che leggeremo.
- Rinnegare se stessi è percepito come una proibizione allo sviluppo pieno della propria personalità.
- Prendere la propria croce è da taluni creduto come un andare a cercarsi maggiori sacrifici e croci, come se al nostro Dio piacesse vederci soffrire.
- “Seguirlo..” viene interpretato come se Gesù ci chiamasse a lasciare il mondo, entrare in convento, diventare missionario o intraprendere chissà quale via mistica..
Ma Gesù voleva proporci queste direttive?
Queste parole sono un vero programma di spiritualità cristiana e, se ben comprese, hanno un alto, valido e concreto significato, perché si basano su una vita di vero Amore.
1. “Rinnega te stesso”.
Quanti timori questa affermazione suscita in molti: quasi che Gesù voglia umiliarci e annichilirci!
Ciò va certamente contro un sentire moderno di una certa parte, che considera bello e morale qualunque desiderio e voglia spontanea; senza quella necessaria riflessione che cerca di discernere il bene vero dal bene solo apparente, che poi si rivela una grave male per se stessi e per gli altri.
Molti infatti non capiscono l’esortazione di Gesù e interpretano il ‘rinnega te stesso’ come se egli voglia indurci a non avere aspirazioni, a non desiderare il progresso del proprio ‘io’ e la crescita - espansione della propria personalità.
Ma sarebbe bastato leggere il Vangelo per costatare che la buona novella di Gesù non viene affatto per soffocarci ma per darci la pienezza della Vita: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Giov. 10,10). “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. (Giov 15,11.
Tutta la Bibbia e Gesù in particolare insistono sulla necessità di realizzare la propria vocazione e il progetto di Dio su di noi.
La parabola dei talenti elogia chi sviluppa e mette a frutto le proprie doti; mentre condanna colui che non fa nulla per mettere a frutto i propri talenti.
C’è una ampia catechesi di Giovanni Paolo II sul cristianesimo inteso come la grande capacità di indicare e stimolare il pieno sviluppo dell’uomo.[1][1]
Eppure non pochi anche oggi hanno l’impressione che il Vangelo voglia esaltare solo la rinuncia, la non-partecipazione, il privarsi, il lasciar perdere, ritirarsi. Pensano che più sacrifici e pene si subiscono, più si è santi.
* Il senso di quella importante affermazione cristiana deve essere un altro.
Proviamo invece a immaginare che ci dica (che dica a ognuno di noi due sposi) queste parole: “Smetti di sentirti al centro del mondo; rinuncia a pensare che l’altro / gli altri devono amarti come pensi tu; finiscila di pensare che gli altri non stanno facendo mai quello tu desideri; riporta alle giuste proporzioni quel tuo ‘ego’ diventato invadente e ingombrante; non rimanere prigioniero di te stesso; rinuncia alle tue pigrizie, ai tuoi limiti, ai tuoi egoismi; diversamente non faresti che danneggiare gli altri e te stesso!”
In effetti non può essere questo il modo giusto per affermare se stessi; al rovescio questo ‘egocentrismo’ fa indietreggiare a livello personale e rovina anche la buona e serena relazione che si vorrebbe avere col proprio coniuge.
Non è certo questo il modo di espandere la propria personalità, raggiungere buoni risultati ed essere felice. Così facendo si è invece condannati ad essere sempre scontenti e sterili.
Perciò questo uscire da sé (èxtasis) non è affatto uno spegnere se stessi, ma un andare oltre; quindi la parola ‘rinunciare’ può essere tradotta come un uscire dalla prigione dorata, liberarsi dai condizionamenti e dalla incapacità di amare; rinunciare, non al proprio IO, ma all’egoismo e ai limiti del sé attuale.
Se Gesù ha adoperato quella espressione (rinuncia a te stesso), forse è perché molte volte questo lavorìo spirituale interiore non è affatto spontaneo, facile e gradevole; talvolta ci appare come un sacrificio; una specie di mutilazione di sé: come il bimbo che è chiamato dal genitore a interrompere i giochi per dedicarsi “a fare i compiti” per la scuola; il bimbo, che è piccolo, può non capire che l’impegno scolastico è per il suo bene, per la sua crescita e in fondo per la sua gioia.
* A livello personale.
Se si comprende meglio questa affermazione, sarà evidente che solo con questa parola di Gesù si può avere una miglior vita e inseguire positivamente la propria vocazione; solo così si perviene al vero Amore.
Quindi c’è un primo aspetto positivo, che è a livello personale: cioè, se vogliamo essere nella vera gioia, questa è la strada.
Se ci mancasse questa ‘uscita da noi stessi’, rimarremmo sempre dei bambini, mai degli adulti; sempre con un animo rattrappito e mai cresciuto e maturo.
Infatti la personalità si espande e cresce quando si accetta di uscire da se stessi per confrontarsi con gli altri e col mondo; quando si accetta di donare e impiegare le proprie capacità (dono di sé).
Troviamo in questo una interessante conferma nelle parole del nostro Papa Benedetto XVI nel Discorso alla 61a Assemblea Generale della CEI, 27 maggio 2010: “E’ essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro; l’ IO diventa se stesso solo dal “tu” e dal “voi”; l’IO è creato per il dialogo; e solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” apre l’“io” a se stesso.”..
Lo vediamo col nostro bimbo; egli ha bisogno di stimoli, che noi non facciamo mancare, per apprendere e per svilupparsi; ha bisogno a un certo punto di una società più grande, talvolta difficile, che è la scuola materna con tanti amichetti e insegnanti con i quali si incontra e si scontra; e poi nelle scuole successive, dove gli insegnanti gli danno compiti e problemi sempre più difficili, grazie ai quali egli apre il suo animo e supera continuamente se stesso. Lo stesso dinamismo avviene nelle situazioni che incontra passando gli anni: l’innamoramento e la famiglia, che esige un coinvolgimento e dono di sé forse mai visti prima; poi il lavoro che esige l’applicazione e l’impiego delle proprie capacità, soprattutto se la persona vuole affermarsi, crescere e sentirsi utile.
E’ un continuo superamento di sé per migliorarsi soprattutto nell’animo; ed è una continua crescita anche spirituale senza la quale non si può essere nella gioia promessa da Gesù. Chi pensa che siano sufficienti i beni materiali o gli imbrogli, per impegnarsi meno e non fare lo sforzo necessario per progredire soprattutto spiritualmente, è destinato a non sperimentare il centuplo qui in terra”, (come diceva Gesù!)[2][2] e ad essere perennemente scontento nell'anima.
E’ questo un principio coerente con il comandamento fondamentale, che dà origine a tutti i comandamenti: “Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore...”; cioè metti Dio al primo posto. Ciò comporta che tu rinunci alla tentazione di considerarti al centro del mondo, come un Dio, servito da tutti gli altri.
Fu la tentazione del serpente antico a mettere l’IO a posto di Dio: voi sarete Dio; sarete voi a decidere quello che è buono, perché vi piace, e quello che è cattivo perché non vi piace; perciò anche con gli altri sarete voi a decidere quello che gli altri devono o non devono fare.
Nella dinamica della coppia e della famiglia.
Il vero Amore non è aspettarsi che l’altro mi ami, ma che io ami l’altro; ossia che io esca dal considerare me al centro di tutto, e mi prenda cura del altro; è assolutamente necessario che rinunci a volere che le cose siano impostate secondo quello che piace a me; e mi metta invece in quel atteggiamento mentale che mi porta ad avere col mio partner una vera dedizione, servizio, rispetto, cura, attenzione, dono verso l’altro.
Come potrà essere serena e appagante quella relazione di coppia in cui uno dei due o ambedue non fanno altro che guardare a se stessi, ai propri desideri, alle proprie voglie, ai propri ritmi, alle proprie verità? ...Se lui o lei non è capace di ‘uscire da se stesso’, per incontrare l’altro con stima, rispetto, ammirazione, senso di complicità e complementarietà?.
Lei che innamorandosi, esulta nel suo animo: Ho trovato l’uomo della mia vita, colui che mi farà felice, colui che starà sempre con me e non mi lascerà sola; che mi difenderà; che avrà cura di me...”; lei sperimenterà presto la delusione perché non ha incentrato il suo rapporto su l’amore e la cura per l’altro, ma è ancora tutta concentrata su se stessa; l’altro ha senso perché è al suo servizio.
Lo squilibrio, lo scontento, fino a un vero e proprio scontro, sarebbero inevitabili e alimentati proprio dal fatto che i due sono differenti e perciò non sempre riescono ad avere gli stessi gusti, le stesse opinioni, le stesse aspirazioni.
In questo contesto è certamente compreso meglio e rivalutata quella intensa pagina di San Paolo che ha fatto tante volte storcere il naso a tante donne: perché sembrava che il testo biblico intendesse ‘sottomettere’ le donne agli uomini. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; ..E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei.. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. (Lettera Efesini cap. 5,21 seg.)
Il testo invita ambedue (uomini e donne) a cambiare atteggiamento reciproco; invece di pensare a chi dei due comanda, il testo invita ambedue ad avere un atteggiamento di amore, rispetto, premura verso l’altro; invece di aspettarsi chissà che cosa dall’ altro, è davvero importante che ambedue si mettano nell’ottica del dono reciproco, della cura reciproca: “io avrò cura di te; io desidero farti felice”!
Anche qui in apparenza sembra un cedimento o svantaggio rispetto al altro; quasi una perdita per uno e un guadagno per l’altro; in realtà diventa un guadagno per entrambi.
Al contrario, è proprio quella ostinazione che diventa incapacità di ascoltare e capire le ragioni del altro, proprio quella rigidità, quel egoismo finisce per causare una perdita e infelicità per ambedue.
Andrea racconta: “Prima di sposarmi ero orgoglioso di ragionare con la mia testa, non solo in casa ma anche con gli amici e i colleghi di lavoro. Mi sentivo forte nel difendere le mie opinioni come una verità assoluta. Ora, con l’esperienza della vita e soprattutto grazie al matrimonio, mi sono convinto che è bene ascoltare anche le opinioni della moglie; si capiscono altri aspetti della verità e quindi si può raggiungere una visione più ampia. In pratica ho rinunciato al pregiudizio di avere tutta la ragione; ho capito che anche in questo settore è meglio non essere soli, superbi e unici possessori della verità; ma è meglio arrivare a una decisione insieme che è più illuminata e gioiosa per ambedue”.
Cambia te stesso.
Ma c’è di più. Non possiamo affrontare e risolvere i problemi e le difficoltà che incontriamo nella vita dando la colpa agli altri, al coniuge, alla società, a Dio.
L’unico e vero modo è quello di coinvolgere se stesso; migliorare se stesso, partire da sé per impostare nuovi e diversi modi di affrontare la vita.
Se nostro figlio ha un problema, se al papà scoprono una malattia, se è accaduto un lutto, se nella nostra vita c’è scontento, è sensato o è sufficiente che io stia a lamentarmi o ad accusare questo o quello? Non è invece meglio coinvolgere me stesso, impegnarmi anche cercando la collaborazione di quelli vicino a me per affrontare ‘personalmente’ la situazione che mi è capitata?
E’ quello che ci vien detto proprio nella prima pagina della predicazione del Vangelo: Matteo 4,17: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt. 4,17)”.
Il che contiene due verità: la prima è che il Regno di Dio, che è verità, gioia, amore, pace, giustizia… non è soltanto il Paradiso dell’aldilà raggiungibile chissà quando; il Suo Regno non è lontano, non dipende da chissà quali rivoluzioni future; non dipende dagli altri o dal cambiamento della società attorno a noi, ma è vicino a noi, è possibile, è alla nostra portata, anche ora!.
Ma c’è un secondo messaggio importante: il godere questo Regno che Dio ci dona è collegato al nostro cambiamento (conversione, miglioramento); non al cambiamento degli altri e del mondo; non dipende soltanto da Dio (fatalismo).
Quell'annuncio dice a ognuno di noi “converti te stesso, metti in moto e migliora te stesso; non aspettare che cambino gli altri o il mondo, per essere felice.
Se la tua serenità dipendesse solo dal coniuge o da tuo figlio o dal tuo vicino fastidioso o dal capo che ti tormenta, rischieresti di essere sempre infelice.
LAVORO PERSONALE E IN COPPIA
Quando capita un ‘dovere’ o un sacrificio da compiere mi lamento sentendomi come un perseguitato, un sacrificato, un ‘martire’?
Quanto è forte in me la tentazione di essere considerato e ammirato o di pensare di avere sempre (o quasi!) ragione?
Di fronte a una difficoltà o problema quale atteggiamento è per me prevalente:
1. mi viene di dare la colpa all’altro e chiedere pressantemente di fare qualcosa o di fare la sua parte;
2. mi viene di dare la colpa al destino, alla sfortuna alla società, agli altri;
3. riesco a guardare alla mia parte di impegno e a coinvolgerti senza arrivare alla critica?
Tu come mi vedi? (aiutami a capirmi)
Dopo una riflessione personale di qualche minuto, lui e lei si scambiano le proprie opinioni a partire da se stessi. Non si deve cadere nella critica. Ognuno parla di sé; può parlare dell’altro quando l’altro glielo chiede!
[1][1] Redemptor hominis, 1979 “Cristo rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso. L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio. In questa dimensione l'uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso. In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell'uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche Cristianesimo.
[2][2] “avrete cento volte tanto, già in questo mondo e la vita eterna nel mondo che verrà” (vedi Marco 10, 28-30